Edizione Limitata – Mono no aware
L’edizione speciale Mono no aware nasce dall’incontro e dal sostegno di due famiglie di imprenditori profondamente legate al territorio della Franciacorta e ai frutti che derivano dalla sua lavorazione. La famiglia Mazzocchi, nell’Ottocento, ha operato nel settore della bachicoltura e, con la medesima passione e dedizione, la famiglia Caruna è da anni inserita nel settore vitivinicolo Pompeo Mazzocchi nel corso delle sue quindici spedizioni in Giappone per l’acquisto di seme-bachi rimase affascinato dagli usi, dai costumi e dalla produzione artistica tradizionale della popolazione; tanto da arrivare ad acquistare numerose opere che espose nella sua dimora di Coccaglio dando vita ad una collezione estremamente eterogenea. La collezione d’arte orientale venne poi ereditata dal figlio Cesare Mazzocchi, il quale scelse di donarla alla comunità locale permettendo la realizzazione del Museo d’Arte Orientale – Collezione Mazzocchi di Coccaglio. Un’eredità tramandata, quindi, come quella che viene trasferita da generazione in generazione nella famiglia Caruna.
UN QR CODE PER UN PROGETTO IN DIVENIRE
Questo codice diventa il passaporto per un viaggio nella cultura giapponese, una porta che si apre su un mondo di arte, letteratura e storia per dar voce e forma a un progetto innovativo che mira a portare l'arte direttamente in tavola, tra convivialità e piacere del buon vivere, creare un’esperienza che intrecci due mondi, dare la possibilità di parlare di arte e cultura giapponese anche stando comodamente a tavola con gli amici, fornendo un insolito e stimolante spunto di conversazione.
Mono no aware diventa così un viaggio nel tempo e nello spazio, consentendovi di esplorare un territorio e un patrimonio culturale che si unisce all'antico splendore delle opere d'arte del Museo Mazzocchi e si intreccia con uno dei prodotti più caratteristici del nostro territorio .
Poter parlare di cultura giapponese per un'ora usando come unica “slide” la bottiglia o semplicemente instillare la curiosità nei commensali è uno degli obbiettivi di questa iniziativa in cui ogni elemento si fonde armoniosamente, offrendo un'esperienza completa e coinvolgente che va al di là delle semplici parole scritte e reca in se l’augurio che sulla nostra tavola non manchino mai buon vino e buone conversazioni .
KINTSUGI STORIA E TECNICA
Secondo la leggenda più famosa, il kintsugi ebbe origine nel XV secolo d.C., quando Ashikaga Yoshimasa, ottavo shogun di Ashikaga, dopo aver rotto la propria tazza di tè preferita, la inviò in Cina per farla aggiustare. Le riparazioni purtroppo avvenivano con legature metalliche poco estetiche e per niente funzionali. L’oggetto sembrava ormai perduto, ma il suo proprietario provò ad affidarlo ad alcuni artigiani giapponesi che, sorpresi dalla tenacia dello shogun nel riavere la sua amata tazza, decisero di provare a trasformarla in un gioiello riempiendo le crepe con lacca e polvere d’oro.
Esistono tantissimi aneddoti su rotture di ceramiche “famose”, soprattutto legate ai primi tempi dopo la nascita della cerimonia del tè (chado ̄).
Proprio il più famoso maestro del tè, Sen No Rikyū (1522 – 1591), è il protagonista di uno di questi episodi. Si narra che fu invitato da un ricco signore che voleva stupire il maestro mostrando il suo ultimo acquisto: un prezioso chaire (vaso da tè) cinese, manufatto della dinastia Song, splendido per la sua forma e per la qualità dello smalto. L’uomo, che pendeva dalle labbra del maestro, servì il tè, ma non una parola fu detta sul chaire, Sen No Rikyū ignorò del tutto il pezzo, probabilmente a causa del suo pensiero intorno alla cerimonia del tè, che doveva essere semplice e senza ostentazioni. Quando il maestro se ne andò, il ricco signore, deluso e amareggiato, scagliò il prezioso vaso contro un treppiede di ferro. Alcuni ospiti che erano ancora lì, raccolsero tutti i pezzi e fecero riparare il vaso con la tecnica del kintsugi. Quando il maestro fu di nuovo invitato, notò subito il vaso e disse: “Ora è magnifico”.
Esiste poi un’altra leggenda, legata alla figura del generale Toyotomy Hideyoshi (1537-1598). Sembra che, durante un’adunata, la sua tazza da tè, chiamata Tsutsui zutsu(1), andò in cinque pezzi. Hideyoshi era noto per il suo carattere iracondo e Hosokawa Yusai, un celebre e potente feudatario, fedele dello shogun, giocando sulle parole della celebre poesia del Ise Monogatari si accollò la responsabilità della rottura per evitare guai più seri (addirittura l'esecuzione) agli altri commensali.
筒井筒 / 五つに割れし / 井戸茶碗 / とかをば我に / 負ひにけらしな。
“Tsutsui zutsu / itsutsu ni wareshi / idojawan / to ka oba ware ni / ohi ni kerashina .”
``Vera da pozzo. La tazza pozzo (a forma di vera da pozzo) si è rotta in cinque pezzi.
Io sono il responsabile di questo disastro! ``
Per quanto riguarda la pratica, il procedimento di restauro avviene sostanzialmente in tre fasi: incollaggio, stuccatura, doratura.
L’incollaggio si effettua con la lacca urushi, che è il principale “ingrediente” per riprodurre la vera tecnica del kintsugi. Essa è una resina che è estratta dalla pianta Rhus verniciflua, autoctona in Giappone, che si trova anche in Cina, Vietnam e Sud-Est asiatico, anche se la varietà più pregiata resta quella nipponica. I primi reperti laccati risalgono a circa 5.500 anni fa, prima del periodo jomon, e sono stati rinvenuti nella tomba Shimahama nella Prefettura di Fukui. E’ probabile che il nome derivi dalla composizione di due parole: uruwashi (bello, gradevole) e uruosu (umido e lussuoso). La linfa è raccolta tra i mesi di giugno e novembre, quando sono effettuate delle incisioni parallele nella corteccia del tronco a intervalli regolari, per farla colare. Ogni pianta, nella sua vita “utile” per il raccolto, produce solo 200 grammi di resina, per questo la lacca urushi è molto costosa.
Purtroppo questa resina è urticante e molto velenosa.
La lacca urushi fin dall’antichità, era utilizzata per il suo forte potere collante, nella costruzione di utensili e armi. A tutt’oggi la lacca è usata per incollare la ceramica: mischiata alla farina di riso si chiama nori urushi, mentre unita alla farina di grano mugi urushi. Il manufatto, una volta incollato e messo insieme con elastici, è posto per circa tre settimane in un’armadiatura detta muro. Sembra un paradosso, ma l’urushi asciuga con il calore (20°) e l’umido (80/90%).
Una volta incollato il pezzo, si prosegue con la stuccatura. Lo stucco deve poi essere carteggiato perfettamente. Finita questa operazione si può procedere a dipingere le crepe con la lacca, utilizzando un pennello finissimo. Quando la lacca “sta per asciugare, ma non è ancora asciutta”, come mi disse la commessa del negozio a Kyoto dove acquistai per la prima volta l’urushi, si può procedere a dorare la crepa con la tecnica a spolvero.
Dopo una quindicina di giorni è possibile brunire l’oro con taiki (uno strumento costruito con un dente di dentice), per renderlo ancora più lucente.
Volendo tralasciare il discorso estetico, che implicherebbe una digressione sul concetto di bellezza giapponese, non possiamo però non prendere in considerazione il prezioso messaggio che questa tecnica ci trasferisce: un oggetto rotto, che sembra da buttare, vale più di un oggetto nuovo. Le cicatrici diventano così un sinonimo di ricchezza, e non qualcosa di cui vergognarsi. Il kintsugi porta con sé un messaggio meraviglioso: più si soffre, più si è piegati dalla vita, più si diventa ricchi e preziosi!
Anita Cerrato
1 - Sen Soshitsu XV: Chado Koten Zenshu. Kyoto: Tankosha, 1971, vol. 3, Choando ki, p. 357. Testo originale pubblicato nel 1640.